La promozione e l’utilizzo dei media sono divenuti ormai indispensabili anche nella Scuola dell’Infanzia, visto l’enorme impatto che la tecnologia ha sulla vita degli abitanti del nostro tempo.
Quello che occorre è un vero e proprio percorso di educazione ai media per proporre ai bambini una visione positiva della multimedialità: in questo senso è doveroso pensare ad un binario parallelo su cui viaggino, da una parte, la formazione per gli insegnanti (e per le famiglie) e, dall’altra, scelte operative concrete.
La formazione ha un duplice scopo; anzitutto deve mirare ad aumentare le competenze tecniche visto che gli strumenti tecnologici come la rete o come gli smartphone e i tablet (i cosiddetti mobile device) offrono potenzialità ancora inesplorate.
Oltre a ciò, la formazione deve proporre una attenta riflessione pedagogica sui media perché essi non costituiscono solo un nuovo ambito disciplinare ma anche una forte provocazione metodologica: infatti nel giro di poco tempo, questi strumenti proietteranno i bambini in un mondo in cui il modello di sviluppo della conoscenza sarà quello democratico e discontinuo della rete e non quello scolastico (più standardizzato e fondato su un passaggio verticale dei saperi).
Inoltre vi è un elemento di forte innovazione rispetto ad altri contesti disciplinari: multimedialità e realtà virtuale sono qualcosa di artificioso per chi insegna mentre sono un ambiente naturale ed immediato per chi apprende.
Gli insegnanti infatti possono possedere competenze, strumenti e capacità per “insegnare” la rete e il digitale ma possono farlo solo indicandone modalità d’uso, funzioni e significati. Una spiegazione indispensabile ma pur sempre limitata, rispetto a chi vive in profonda simbiosi questo ambiente: non a caso abbiamo chiamato nativi digitali i ragazzi nati tra il 1985 e il 2001 e millennials quelli nati dopo il 2002 (facendo già riferimento ad una diversità generazionale).
Metaforicamente spiegare i media ai nostri bambini e ai nostri ragazzi è come spiegare ai pesci le caratteristiche dell’acqua di mare: potremmo essere molto analitici ma non potremmo mai cogliere l’essenza di chi all’interno di quell’ambiente vive (forse senza neanche accorgersene). Quindi un elemento di profonda rottura rispetto ai percorsi di apprendimento più consueti.
Eppure mai come in questo caso l’educazione intesa come cammino biunivoco tra educatore e individuo in educazione, trova compimento. Le due figure rimangono contraddistinte da una diversità di ruoli, però l’educatore, per una volta, non detiene tutti i saperi: la persona in educazione infatti (seppur inconsapevolmente) possiede competenze quasi innate e una visione del mondo profondamente influenzata dall’universo digitale.
Per questo la relazione educativa, il colloquio e l’ascolto non possono che essere realmente reciproci fin dalla più tenera età: per realizzare un percorso nel quale ognuna delle due parti possa riconoscere all’altro alcuni elementi da valorizzare e possa sostenerlo negli aspetti carenti.
In ogni caso il primo obiettivo è quello di evitare semplificazioni e prese di posizione troppo radicali. Usando le parole di Serge Tisseron potremmo dire che “occorre rinunciare a due tentazioni: idealizzare queste tecnologie e demonizzarle. Attendersi dei miracoli dalle tecnologie sarebbe altrettanto sterile che non volere averci a che fare. Non sono che degli strumenti. Impariamo a non chiedere ad essi quello che non possono dare e invece a chiederle quello che possono offrirci!”
Per questo quando si parla di scelte operative concrete è necessario attenersi alla semplicità e alla gradualità. Introduciamo gli strumenti multimediali a partire da quelli di uso più immediato, come i video e la televisione, spieghiamo ai bambini le loro caratteristiche, insegniamo a comprenderli ed interpretarli e riconosciamone le possibilità senza limitarci ad evidenziarne i rischi.
Perché, usando ancora le parole di Tisseron, l’unico modo per aiutare i bambini ed i ragazzi ad evitare i problemi connessi all’ambiente digitale è quello “di proporre pratiche virtuose piuttosto che di continuare a denunciarne i pericoli”
Paolo Petrucci